Gennaio 8, 2020 Studio Associato

Il gioco anche in azienda come approccio per affrontare la complessità

Le persone sono il fattore di complessità per antonomasia: non possiamo pensare di motivare tutti nello stesso modo ottenendo gli stessi effetti
di Gianluca Rizzi *

Da ormai qualche anno a questa parte coloro che nelle aziende hanno la responsabilità di persone e decisioni sperimentano sempre più spesso una sensazione ben precisa: da un lato le decisioni, piccole o grandi che siano, sembrano essere sovente condizionate da variabili esogene che sfuggono al controllo, dall’altro il riverbero, positivo o negativo, delle azioni manageriali quotidiane appare sempre più ampio, un po’ come i cerchi concentrici che si sviluppano intorno a un sasso lanciato nello stagno.
Nel primo caso è possibile pensare ad esempio al modo in cui la decisione del singolo manager possa essere fortemente condizionata (se non addirittura neutralizzata) da un’azione interna di un’altra funzione dell’organizzazione, oppure da una mossa dei competitor. Nel secondo caso, invece, basta pensare a un’attività come la comunicazione interna o esterna (a maggior ragione se fatta mediante social): può capitare di ritrovarsi (proprio malgrado o per propria fortuna) inaspettatamente proiettati sulla ribalta nazionale, anche solo per l’equivoco generato da una singola parola.

Insomma, potremmo avere sperimentato la sensazione di avere perso un po’ il controllo. La chiamano complessità. Ovvero quella dimensione del reale in cui la globalizzazione, la tecnologia, le reti, i flussi commerciali, finanziari ed economici hanno generato una tale interconnessione che siamo stati avvolti tutti come in una rete alla quale siano inevitabilmente collegati e di cui recepiamo (o meglio dire subiamo?) ogni minimo movimento. A dimostrazione del fatto che la complessità è sempre più un tema attuale, è possibile digitare proprio la parola complessità nell’«ngram viewer» di Google per scoprire che il numero di citazioni di questo concetto nei libri pubblicati negli ultimi 2 secoli ha visto un incremento esponenziale.
C’è da dire anche che i manager hanno sempre sperimentato la complessità, in un’altra accezione, tutte le volte che hanno (avuto) a che fare con altri colleghi. Le persone rappresentano il fattore di complessità per antonomasia, per il semplice motivo che non possiamo pensare di, ad esempio, motivare tutti nella stessa maniera, ottenendo gli stessi effetti. L’approccio lineare che istintivamente adoperiamo nella risoluzione dei problemi non va bene se vogliamo affrontare la complessità.
Ed è qui che entra in gioco la dimensione per l’appunto del gioco. Gli esperti ci dicono che, per affrontare efficacemente le sfide poste dalla complessità e dall’imprevedibilità del mondo in cui viviamo, dovremmo applicare la cosiddetta ridondanza cognitiva, ovvero la capacità di vedere e approcciare il medesimo problema da una molteplicità di prospettive. Il gioco, inteso come paradigma dell’esplorazione in perfetto equilibrio tra trasgressione e apprendimento, va esattamente nella direzione della ridondanza e rappresenta l’antidoto forse più efficace. Il gioco diventa quindi un’attitudine da recuperare e praticare nella quotidianità.

 

Per farlo è sufficiente guardare a come i bambini affrontano la dimensione del gioco e con quali ingredienti:
1) Le regole, che delimitano l’obiettivo, il senso e il perimetro del gioco in modo tale da avere un “campo” di riferimento comune.
2) La sfida, data da punteggi da ottenere, livelli da superare e obiettivi da raggiungere.
3) Il divertimento, inteso nel senso stretto di componente ludica, ma anche nel senso etimologico di capacità di guardare da un’altra prospettiva per individuare strategie nuove e diverse.
4) Il pericolo, da intendere come quella componente di rischio che non può mancare, pena la sensazione di essere nel già fatto o già visto.
Per ogni sistema che ne governa un altro, il sistema complesso più ampio deve avere un grado di complessità comparabile al sistema che ne è governato

Cosa c’entrano dunque il gioco e i suoi ingredienti con le sfide manageriali di quest’epoca e con l’approccio alla complessità?
Come già accennato, la complessità si affronta con la ridondanza cognitiva. Ross Ashby, psichiatra britannico tra i pionieri della cibernetica, l’ha definita la legge della varietà necessaria: «Per ogni sistema che ne governa un altro, il sistema complesso più ampio deve avere un grado di complessità comparabile al sistema che ne è governato». In altri termini, per affrontare la realtà che è sempre più instabile, non lineare e imprevedibile serve maggiore “complessità” di pensiero, ovvero visione sistemica, abilità nel variare la prospettiva di osservazione, coraggio verso il mai sperimentato, metodo, mordente nei confronti della sfida. Gioco.
Le aziende sempre più spesso ricorrono a team building, hackathon, team experience, gamification, esattamente tutti espedienti che poggiano sulla dimensione e sulle dinamiche del gioco per attivare pensiero e molteplicità di prospettive. Ma si tratta troppo spesso di situazioni straordinarie nel senso che esulano rispetto alla quotidianità.
La sfida è: portare il gioco nel day by day!
* Partner di Newton S.p.A.

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