Il potenziale di sviluppo del Vecchio continente in questo campo rischia di essere limitato non solo dalle minori risorse economiche in gioco, ma anche dalla distribuzione disomogenea e disuguale dei professionisti che lavorano sugli algoritmi
di Gianni Rusconi per il sole24ore
Quali sono i maggiori poli mondiali per l’intelligenza artificiale? La risposta, fra gli addetti ai lavori e non solo, è nota: Stati Uniti e Cina. E l’Europa? Si sta muovendo, ma il suo potenziale di sviluppo in questo campo rischia di essere limitato non solo dalle minori risorse economiche in gioco, ma anche dalla distribuzione disomogenea e disuguale dei talenti che lavorano sugli algoritmi, al momento svantaggiati rispetto ai colleghi di altri Paesi.
Lo dice una recente ricerca di LinkedIn («AI talent in the Labour market», sviluppata in collaborazione con il World Economic Forum) che ha fatto il punto sullo stato del mercato del lavoro nel Vecchio Continente nel settore delle intelligenze artificiali e ventilato alcune soluzioni per ovviare al problema, a cominciare dall’idea di creare un vero e proprio ecosistema industriale dedicato a questa specifica tematica.
Negli Usa, volendo fare un primo raffronto puramente quantitativo, vengono per esempio assunte il doppio delle persone qualificate in tema di AI e machine learning (e quindi soggetti che hanno sia competenze nell’ambito del calcolo statistico che di analisi dei Big Data) rispetto al totale dei Paesi membri Ue, nonostante la forza lavoro totale americana ne rappresenti solo la metà.
Per contro, lo studio osserva come l’Europa sia in grado di poter recuperare rapidamente il ritardo, in virtù del fatto che la formazione e l’aggiornamento professionale dei professionisti “vicini” alle varie discipline dell’AI dovrebbe raddoppiare le dimensioni dell’attuale forza lavoro operante nel comparto. Allo stato attuale, due terzi delle figure professionali con competenze in materia di intelligenza artificiale lavorano nel settore tecnologico o in ambito accademico.
Un’altra ombra che grava sull’apporto all’innovazione da parte dei talenti dell’AI europei è, come anticipato, la loro distribuzione non uniforme. La maggior parte dei talenti è infatti concentrata in Europa Occidentale e la disparità geografica all’interno di questa area è comunque netta: solo tre Paesi – e nella fattispecie Regno Unito (con una quota del 24%), Germania (14%) e Francia (12%) – ospitano da soli la metà di tutte le figure che operano in questo settore.
Altri bacini importanti per densità di talenti rispetto alla popolazione attiva sono quindi Irlanda, Finlandia, Cipro, Lussemburgo, Svezia e Paesi Bassi mentre l’Italia, in questa speciale classifica, si posiziona a un livello medio-basso, con un contributo (poco più del 7%) tre volte inferiore a quello britannico. Rispetto agli Usa, l’Europa si caratterizza anche per le diverse destinazioni che interessano i talenti dell’AI: se oltreoceano sono le startup e le aziende “native digitali” a dimostrarsi più propense all’adozione di queste tecnologie e conseguentemente ad addetti con le giuste competenze in questo ambito, nel Vecchio Continente sono soprattutto le grandi aziende che hanno già operato investimenti nel processo di trasformazione digitale ad impiegare il numero maggiore di talenti.
Una concentrazione importante di talenti si rileva inoltre nell’ambito accademico e della ricerca, e tale fenomeno è particolarmente diffuso in Italia e Spagna, a dimostrazione del fatto che – si legge nello studio – in questi Paesi le tecnologie dell’AI non sono ancora diffuse realmente nel settore privato (a differenza di Regno Unito e Irlanda, dove invece risiedono le sedi centrali europee di diverse multinazionali tecnologiche americane).
Un ultimo parametro che gli esperti ritengono decisamente migliorabile riguarda la composizione di genere dei talenti dell’AI: solo il 16% dei lavoratori europei in questo campo sono donne. L’Italia, per una volta, è in controtendenza in senso positivo con una percentuale di professioniste del gentile sesso che lavorano nell’ambito dell’intelligenza artificiale pari al 25% del totale. Un dato superiore anche al 20% registrato negli Stati Uniti, nonostante il nostro Paese “vanti” il più basso tasso di partecipazione femminile nella forza lavoro di tutta l’Unione europea.